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6-7 giugno
MONCALIERI Limone Fonderie Teatrali
LA BELLEZZA
di Andrea Pazienza, Wystan Hugh Auden, Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini, Charles Bukowski,Antonio Neiwiller, Marilyn Monroe e altri
regia Davide Iodice
con Alberto Astorri, Luigi Biondi, Valentina Capone, Salvatore Caruso, Fabio Gandossi, Antonio Grimaldi, Lisa Ferlazzo Natoli, Alfonso Paola, Paola Tintinelli
luci Maurizio Viani
training e collaborazione alla partitura fisica Marina Rippa
elementi scenici Massimo Staici
maschere Tadema De Sarno Prignano
organizzazione Franco Coda
produzione libera mente
in collaborazione con Teatro Labroratorio San Leonardo - FEST TEATRO Tirano
“Siete troppo bella perché vi si possa amare veramente. La Bellezza è un’eccezione, un insulto al mondo che è brutto. E’ raro che l’umanità ami la Bellezza. La perseguita invece, per non sentirne più parlare, per dimenticarla, per eliminarla” Jacques Prévert Les enfants du Paradis
Il lavoro nasce dall’unione della compagnia libera mente con alcuni attori dell’ultimo Teatro di Leo, su una comune idea di creazione e di pratica scenica a partire da una drammaturgia dei vissuti e dei linguaggi di cui ogni attore/persona è portatore.
Lo spettacolo muove quindi da una scrittura collettiva originata dalle fonti più diverse, dalle Horae Canonicae di William Auden, al Pasolini di Uccellacci e Uccellini, dalle invettive lucide e strazianti di Andrea Pazienza ai dipinti e agli scritti di Edward Hopper, fino a toccare alcune liriche di Bukowski e infine Il Miracolo (sceneggiato da Federico Fellini per Roberto Rossellini) e la dolente autobiografia di Norma Jeane Baker.
Luogo centrale dell’azione un’ideale “Villa Bellezza”, dove una umanità segnata da una “febbre” indicibile, per così dire “ontologica”, tenta la sua “cura”, cerca la sua “salute”.
E nel giardino dove ancora echeggiano i passi di un dio rumoroso, temibile e multiplo; nel dormitorio insonne scosso da sogni improvvisi e furiosi; nella sala della ri-creazione dove ancora si tenta un amore “duro come la morte”, fin dentro il teatrino bianco, amatoriale, da “provincia dello spirito”, si attende l’ora della guarigione.
L’ora in cui la febbre passa, l’ora in cui si può ristabilire il patto che lega l’uomo all’uomo; l’ora in cui il dolore ha fine, e quel “significato” che sempre attende ogni vita, può farsi più chiaro: l’ora che sempre tarda.
In questo teatro del fuori di sé e del ritorno a sé, la bruttezza di ciascuno può “sbruttare” finchè vuole, fino alla “tragedia”, fino al “ridicolo”, finanche a una idiozia nazionale, fino a quando, “sotto la pelle che scotta, il corpo del malato brilla”, in una nudità estrema; misera e sublime.
Qui l’anima può sognare, almeno, la sua resurrezione.
Nello spazio cavo, si snocciola così un rosario visionario, una corale di bestemmia e implorazione alla scena-vita sulla quale ciascun attore tenta affannosamente un po’ di bellezza. Quella bellezza che fa dire a Baudelaire “Angelo o Sirena, che importa se mi rendi questo universo meno ripugnante e questi brevi istanti meno gravi”.
Quella “Straziante e meravigliosa bellezza del creato” che fa sospirare un Totò, cieco e splendente o lo spinge a imparare la lingua degli uccelli.
La bellezza diventata un male in Marilyn Monroe.
La bellezza spaventosa e oscura della bestia che ama disperata la carne che divora.
La bellezza del sangue innocente “senza il quale nessun muro secolare può erigersi”.
La bellezza del “suicidarsi nella vita” con così grande passione da morirne.