Archivio
7 - 8 luglio
CASTAGNETO PO Villa Cinema
SDISORÈ
di Giovanni Testori
regia Francesco Frongia
con Ferdinando Bruni
fisarmonica Fabio Barovero
musiche originali Filippo Del Corno
luci Fernando Frigerio
assistente alla regia Heidi Mancino
pittori scenografi Andrea Serafino e Maria Luisa Saletta
tecnico Mizio Manzotti
produzione Teatridithalia
lo guardo con invidia, e pena allo stesso tempo, quegli scrittori e poeti che partono da una posizione e perseverano in essa. Forse sarà anche giusto, ma per me non è possibile. Ogni volta, ed è una necessità fisiologica, devo scoprire un linguaggio che sia strettamente legato al nucleo drammaturgico, poetico, narrativo che ho tra le mani. Ad uno sguardo in prospettiva può forse apparire il filo atroce che lega questi miei vari tentativi. Comunque non credo nella forma come assoluto, punto d'arrivo, per me è al contrario qualcosa da divorare, da stracciare appena raggiunta. Attraverso una forma chiusa o fintamente aperta non passa quell'emozione, quella tensione che sola mi interessa. Ogni volta che scrivo è l'ultima volta.
Giovanni Testori
Andato in scena nel 1991 con la regia dello stesso Testori, sdisOrè ripercorre la strada della riscrittura delle grandi tragedie, già sperimentata con Ambleto, Macbetto e Edipus negli anni Settanta e con Sfaust l’anno precedente. Ecco quindi l’Orestea di Eschilo divenire materia plasmabile da reinventare radicalmente, per affidare a un narratore monologante il tormento di Oreste, Orestes, Orè - quasi dissolto e corroso nel magma della parola di Testori – e le voci e i corpi di Clitennestra, Egisto e Elettra.
Ancora una volta ciò che conta per l’autore è la “parola incarnata” che esprime la sua potenza generando ogni volta una lingua sempre nuova: sostanzialmente una lingua ‘lombarda’, dove però il dialetto è solo uno degli ingredienti, il polo d’attrazione al quale si legano lingue vive e morte (francese, spagnolo, inglese e latino liturgico).
La vicenda è nota: Oreste torna a casa per vendicare il padre Agamennone, ucciso da Clitennestra e dal suo nuovo “ganzo”, Egisto, che ora ne usurpa il trono. Accompagnato dall’amico Pilade, trova ad attenderlo alla tomba di Agamennone la sorella Elettra.
Ancora una volta Testori sposta il contesto della tragedia: dalla reggia degli Atridi siamo calati nel cuore della provincia italiana, nel suo amato paesaggio natale. Il risultato è una Brianza’s Tragedy in cui il tragico e il ridicolo sono giustapposti: un “Oreste un po’ da stalla” – come lo definì l’autore stesso – profondamente cruento, ma divertente e comico per l’espressività del linguaggio, nel quale Clitennestra è per i figli ‘vacca sconsacrata’ o ‘poara gaina devastata’, Elettra diventa Elettrica grazie all’intervento di Marconi, e la lingua di Egisto diventa ‘salmistrata’ per la paura.
La tragedia segue, con toni grotteschi da grand-guignol d’alta classe, l’intreccio dell’originale, fino a virare bruscamente poco dopo la metà: “per questo lo chiamo sdisOrè, perché la negazione si fa totale. Dopo che Oreste ha compiuto l’assassinio e ha ucciso il patrigno e la madre, Elettra parla al popolo. A lui appaiono le Furie, perde il coraggio e dice ‘Mi divisisco in due’.” E in due si ‘divisisce’ anche la tragedia: l’eroe rinuncia alla giustizia civile, all’assoluzione di Atena e dei cittadini e la voce di Oreste sfuma lentamente in quella dell’autore per cercare - nella coscienza che l’umanità è un’entità indivisibile, che unisce in sé i giusti e i reprobi, e nell’attesa del perdono - una possibile e diversa catarsi al ‘grande macello’ della vendetta.